«Quale valore hanno le direttive del paziente nella mia attività quotidiana di medico di cure intense?» È questa la domanda che il Prof. Dott. Miodrag Filipovic, membro del comitato esecutivo dell’Accademia svizzera delle scienze mediche (SAMW/ASSM) nonché presidente del gruppo di lavoro nazionale per la pianificazione sanitaria anticipata (PSA), affronta nel contributo che qui volentieri ospitiamo.
Una vedova di 82 anni, che vive indipendente a casa propria, si reca dal medico di famiglia perché accusa dolori addominali già da due giorni. Quest’ultimo la fa ricoverare in ospedale, dove viene operata il giorno stesso. I chirurghi, oltre a un’infiammazione dell’addome, trovano un tumore intestinale. Rimuovono parte dell’intestino crasso e inseriscono un’apertura artificiale, una cosiddetta stomia. Durante l’operazione si verificano disfunzioni della circolazione, dei polmoni e dei reni, motivo per cui la paziente viene trasferita in terapia intensiva per ulteriori cure.
Purtroppo, la situazione rimane instabile anche il giorno seguente: la donna viene sottoposta a ventilazione meccanica e perde la capacità di discernimento. Fortunatamente, poco tempo prima ha redatto le sue direttive del paziente. Nel documento ha designato come rappresentante il suo vicino, con il quale ha un rapporto stretto e organizza spesso gite. Pur non volendo essere rianimata, accetta di sottoporsi a un trattamento medico intensivo – a condizione che ci siano buone speranze di tornare a casa e riprendere le uscite con il vicino.
In situazioni come questa, gli operatori del reparto di cure intense apprezzano molto di poter disporre delle direttive del paziente. Le indicazioni più importanti del documento riguardano la persona con diritto di rappresentanza (senza direttive, il vicino non avrebbe nemmeno il diritto di chiedere informazioni!) e la «dichiarazione dei valori», in questo caso il desiderio di vivere autonomamente a casa propria e di fare delle gite.
La nostra paziente si riprende dopo alcuni giorni di terapia intensiva. Due settimane più tardi viene dimessa dall’ospedale e infine, a seguito di una riabilitazione stazionaria in una casa di cura, può tornare a casa e riprendere le sue normali attività. Se la situazione si fosse aggravata, ad esempio in caso di ulteriore complicazione dovuta a un ictus con emiplegia (paralisi parziale), i medici di cure intense avrebbero dovuto decidere, insieme al vicino della paziente, di sospendere il trattamento medico intensivo, non più indicato, e di passare a una terapia palliativa.
L’esempio mostra quanto sia importante e utile per l’équipe medica poter ricorrere a una pianificazione sanitaria anticipata e a direttive del paziente chiare e inequivocabili in caso di perdita della capacità di discernimento (cosa che può accadere improvvisamente e inaspettatamente a tutti noi). Solo così si può garantire che gli accertamenti e i trattamenti medici possano essere effettuati secondo le volontà della persona incapace di discernimento.
Con l’iniziativa per l’attuazione della pianificazione sanitaria anticipata in Svizzera promossa dall’Ufficio federale della sanità (UFSP) e dall’Accademia svizzera delle scienze mediche (ASSM) speriamo di convincere molte più persone di questa necessità.